Galileo Chini
(1873 - 1954)
Orfeo, 1946
Olio solio su tela, cm. 126 x 186
Firmato e datato in basso a destra: “G. Chini 1946”
Nei quadri
degli anni Quaranta, Chini inizia a scurire le tonalità
dei quadri, spesso segnando il disegno col nero, sostitue
do al violetto atmosferico il blu scuro, evocando un sentimento
velatamente pessimistico. Orizzonti spezzati e diagonali,
tocchi di pennello arancio, rossi e blu come accensioni improvvise
e corrusche, dicono con eloquenza di un’ine sausta vena
lirica.
Trascorsa la guerra, Galileo
Chini, nel 1945, si trova a confrontarsi con una situazione
artistica, ma anche sociale e politica, completamente nuova
e in trasformazione. Passati i settant’anni d’età,
con una carriera luminosa alle spalle, densa di successi e
riconoscimenti internazionali, il mondo intorno a cui si era
realizzato, e in gran parte aveva contribuito a definire attraverso
un’attività febbrile che aveva inciso profondamente
nel gusto del suo tempo (basta scorrere la sua biografia per
averne la misura), era definitivamente polverizzato. Chini,
minacciato dalla cecità, tende a rivisitare i temi
delle sue opere giovanili, di un simbolismo boeckliniano o
talvolta religioso. La rassegnazione, l’attesa pensosa,
sono i sentimenti che dominano Chini in questa fase finale
della sua vita: nessuna grazia, nessuna bellezza resiste alla
morte, ed egli, che tante felici visioni seppe creare, dipinge
ora marine livide le cui onde ricac ciano come rifiuti teschi
corrosi e preziosi gioielli, senza alcuna distinzione, o scene
mitologiche come questo Orfeo, cantore prodigioso, creatore
di bellezza che tuttavia è incalzata dalla morte ineluttabile. |