La Speranza Divina
su sfondo di paesaggio in un medaglione circondato da grottesche
San Teodoro su sfondo di paesaggio in un medaglione
circondato da grottesche
Due tarsie lignee in noce, acero, ebano
ed altre essenze, cm. 106 x 142 ciascuna.
Provenienti dalla Basilica di San Marco di Venezia
Al tempo
della Veneta Repubblica il presbiterio della Basilica di
San Marco era un geloso santuario dello Stato, quasi tempio
nel tempio. La splendida chiesa, fulgente d’oro, era
allora la cappella ducale, non la cattedrale del patriarcato
di Venezia, che era San Pietro di Castello.
Jacopo Sansovino, il grande
architetto e scultore (Firenze 1486 – Venezia 1570)
ebbe vari incarichi dai Procuratori a partire dal 1529.
Uno di questi fu di rendere più sontuoso il presbiterio,
per il quale fece le tribune per i musici con sei rilievi
istoriati di bronzo, le statue degli evangelisti davanti
all’altar maggiore.
Fu rifatto allora il trono
del doge che si trovava subito alla destra di chi entrava
dal portale dell’iconostasi, quasi in faccia all’altar
maggiore, “fabricato di legno di noce con lavori,
colonne, intersiamenti et intagli messi ad oro, molto vaghi
et belli”, come scrive lo Stringa. Nello schienale
era intarsiata l’immagine della Giustizia con la spada
nella destra e la bilancia nella sinistra: presenza rituale
nelle pertinenze ducali. Infatti la Giustizia, sentita anche
come Venezia, era dichiarata la virtù fondamentale
del doge, capo visibile dello Stato, e perciò la
prima in tale sede delle canoniche sette virtù: le
tre teologali (Fede, Speranza e Carità) e le quattro
cardinali (Giustizia, Fortezza, Temperanza, Prudenza), virtù
“amate sopra modo dalla Repubblica, come vere conservatrici
dello Stato, dominio, grandezza sua”. Le virtù
furono rappresentate nel presbiterio in tarsie con evidente
intendimento etico e morale: la Giustizia, come abbiamo
detto, sul dossale del trono dogale, le altre sopra i seggi
riservati ai personaggi importanti che di prammatica dovevano
assistere alle cerimonie alle quali il doge partecipava:
a destra del trono sedevano il nunzio apostolico, gli ambasciatori
e i sei consiglieri ducali; a sinistra, i Procuratori di
S. Marco, i figli e i fratelli del doge e i cavalieri. Dalla
parte dov’era il trono i pannelli erano intarsiati
con le immagini della Fortezza, della Fede e della Carità
e, oltre l’angolo, verso l’altare, un’altra
tarsia rappresentava san Marco; dalla parte opposta, le
tre tarsie raffiguravano la Prudenza, la Temperanza, la
Speranza; cui seguiva, voltato l’angolo, un’altra,
con san Teodoro, che era stato il patrono di Venezia prima
che vi fossero portati i resti dell’Evangelista.
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Nel 1955
in una relazione sui recenti lavori di restauro a San Marco
si legge che i due dossali (ciascuno dei quali comprendeva
tre Virtù) vennero temporaneamente rimossi. Prima
della rimozione furono eseguite delle fotografie d’insieme.
Più tardi se ne perdono le tracce. Quelle con le
figure della Fede e della Fortezza, per qualche tempo esposte
nell’ex-chiesa di San Basso sono ora custodite nel
Museo Diocesano. Le altre sei sono andate all’asta
a coppie a Firenze tra il 31 maggio e il 2 giugno 1969 unite
all’arredamento Talleyrand-Perigord Ruspoli.
Le figure
delle mirabili tarsie sono circondate da grottesche che
attirano subito l’attenzione per il virtuosismo del
disegno e in qualche luogo per le stravaganti, talora mostruose,
associazioni di elementi zoomorfici e antropomorfici eterocliti
che richiamano alla mente i “grilli”, cioè
le figurine bizzarre diffuse già nell’antichità
e tanto spesso presenti nella miniatura gotica. La concezione
di queste tarsie, sia nelle figure sia nell’ornato,
è lontana da quella tradizionale quattrocentesca
a base prospettica alla quale erano ispirate quelle tuttora
presenti a San Marco nella sagrestia dei canonici.
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Il pannello
con San Teodoro si impone alla nostra ammirazione
per la ricchezza e compattezza della composizione, dominata
dalla massiccia figura del Santo che con la destra impugna
l’asta la cui punta è conficcata nel drago
e con la sinistra tiene lo scudo inclinato verso terra.
È uno scudo accartocciato, di impronta araldica piuttosto
che realistica, nel cuore del quale da una corona di alloro
sporge una bionda testa angelica. È questa una singolarità
iconografica inventata dall’artista o dai suoi alti
committenti. Perché lo scudo ricorda quello che,
secondo una variante della leggenda classica più
vulgata, era la testa demoniaca di Medusa che stava nello
scudo di Atena, testa che Perseo aveva tagliato, la quale
aveva serpenti per capelli e pietrificava chi la vedeva:
qui la luminosa testa angelica appare benefica distributrice
di grazia e amministratrice di giustizia. Sta il Santo su
un terreno con piante, arbusti e alberi variati; nel fondo
appare una città fortificata di cui si vedono torri
in bel gioco prospettico, e una grande chiesa a destra col
suo svelto campanile.
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L’altra
tarsia raffigura la Speranza, anzi, per essere precisi,
la “Speranza divina et certa”,
come si raffigurava nel Rinascimento e come la descrive
Cesare Ripa: “Giovanetta si dipinge questa figura
con gli occhi alzati al cielo et con le mani giunte, dicendo
ancora il Profeta, è beato colui che non ha fissi
gli occhi alle vanità et alle false pazzie, ma con
la mente et con l’intentione nobilita se stesso, desiderando
et sperando cose incorruttibile, non soggette alla mutatione
de tempi, né sottoposte agl’accidenti della
vita mortale. Si fa anco giovanetta, perché deve
essere sana et ben fondata, gagliarda et piacevole, non
si potendo sperare quel che non si ama, né amar quel
che non ha speranza de bene o di bello, et questa speranza
non è altro, come dice S.Girolamo nella 5. Epistola,
che una aspettatione delle cose delle quale habbiamo fede”.
Sta la salda, serena e forte figura di magnifico disegno
su un impiantito a mattonelle con nel fondo, verso il muretto
merlato, due piante simmetriche trattate in studiate forme
secondo i dettami di quell’arte topiaria che fu tanto
cara al Rinascimento. Dietro ancora si stende un armonioso
paesaggio ondulato, nel quale si leva un ben munito castello
a sinistra e si profilano le mura in salita verso un’altura
a destra.
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