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Vincenzo Camuccini
(Roma, 22 febbraio 1771 - 2 settembre 1844)

Morte di Giulio Cesare
matita su carta, cm. 53,35 x 85

Questo disegno perfettamente compiuto in ogni sua parte, si riferisce al quadro in grande dimensione della Morte di Giulio Cesare , ( Napoli, Museo di Capodimonte), commissionato nel 1793 da Frederick August Hervey, vescovo di Derby e quarto conte di Bristol, per il quale anni prima l’ artista aveva già eseguito una copia della Deposizione di Raffaello. Il dipinto, forse il più noto del pittore, ha avuto un lungo iter creativo, interrotto anche dalla morte del Conte di Bristol avvenuta nel 1804, e una complessa vicenda per i pagamenti e per le successive copie in formato minore (Roma, 1978, p. 30). Nel 1796 viene ultimato il cartone che riscuote l’immediato interesse dei maggiori esponenti del neoclassicismo romano. Il quadro viene finito intorno al 1799, ma, al contrario di quanto era avvenuto per il cartone, il dipinto viene aspramente criticato portando l’artista a distruggere la tela (Falconieri, 1875, p. 41) e a ridipingerlo nuovamente, probabilmente ultimando questa nuova redazione intorno al 1806 (Cera, 1987, n. 221).
Quasi sicuramente il tema viene scelto dallo stesso Lord Bristol, mentre “Il cennato Visconti che gli fu maestro e duce, ne ritraeva tutti gli elementi dalla descrizione di Flaminio Vacca”, almeno secondo la testimonianza di Falconieri che descrive con minuzia il quadro ambientato in una: “… vasta sala quadrilunga, in cui da un capo giravano a semicerchio, su a scaglioni, gli stalli dove sedeano i senatori, ed in mezzo sopra i gradini stava il seggio del dittatore: decoravano le pareti le statue di Giove, Giunone, Pallade e dal lato opposto elevasi maestosa la statua di Pompeo… il punto dell’azione toglieva da Valerio Pratercolo, il quale dice che Cesare tratto dalla fatalità, si recò alla curia: ove i congiurati avevano stabilita l’uccisione, e Svetonio riferisce ch’essi mentre gli stavano ossequiosi attorno, Cimbro, fingendo di offrirgli un foglio, gli afferrò la toga e Casca lo ferì. A questo primo colpo Cesare, fiero qual’era, surse in piede e lungamente si difese con gran coraggio dai colpi di Casca e degli altri, a tale che dibattendosi fu spinto… ai piedi della statua di Pompeo e colà lo vedi accerchiato dai congiurati; i quali ferocemente lo incalzano, gli si scagliano addosso brandendo gli aguzzi pugnali… e già visto fra i feritori lo snaturato Bruto, il quale non giungendo a sostenere lo sguardo, volge confuso il volto ed il braccio traditore gli tentenna, mentre Cesare pare gli dica: ‘E tu anche figlio mi uccidi’… dalla parte opposta irrompe il popolo pieno di sorpresa e spavento che per meglio vedere sale sui seggi… Le varie fogge del vestire sono precisissimi: li senatori addossano bianche toghe; gli altri la tunica, il noto manto e i calzari. Le figure principali sono ritratti levati dai busti e dalle statue esistenti: fin il simulacro di Pompeo è copiato da quello esistente a Palazzo Spada…” (Falconieri,1875, p. 53).


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