LIBERO
ANDREOTTI, ANTONIO MARAINI, ROMANO DAZZI
Gli anni di Dedalo
14 maggio - 30 giugno 2009
ROMANO DAZZI (Roma 1905 –
La Lima 1976)
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La vicenda artistica e umana di Romano
Dazzi - presente in mostra con una corposa selezione di
disegni per lo più provenienti dalla collezione privata
di Ojetti - meriterebbe un lungo racconto.
Nei primi anni della vita Romano, figlio di Arturo Dazzi,
è un acclamato enfant prodige. Ed anche un giovane
bellissimo, dal temperamento appassionato, tutto irruenza,
senso dell’avventura e entusiasmo per la vita. Nel
1919, la Galleria d’Arte Bragaglia, una delle più
vivaci della capitale, presenta un’esposizione di
centoquaranta disegni dell’artista, all’epoca
quattordicenne. Firma il saggio in catalogo Ugo Ojetti,
uno dei tanti illustri amici di famiglia. Il successo della
rassegna è sorprendente: per l’artista-ragazzino
si mobilitano i critici più autorevoli che vedono
in lui l’emblema di una nuova generazione maturata
anzitempo dall’esperienza della guerra.
Scene di combattimento sono d’altronde i soggetti
favoriti dal giovane Dazzi, insieme a certi straordinari
ritratti di animali selvaggi visti, in realtà, al
giardino zoologico. Lo stile aggressivo, il segno velocissimo,
l’interesse per la rappresentazione del movimento
creano un effetto quasi cinematografico.
Intorno al prodigioso talento del ragazzo, Ojetti elabora
un progetto: applicare su di lui le sue teorie per farne
l’artista perfetto. Vale a dire un uomo d’ordine,
la cui principale dote sia la capacità di comunicare
un contenuto con chiarezza, imparando a governare l’esuberanza
della propria creatività con la forza ordinatrice
dello stile. Il ferreo, quotidiano controllo esercitato
dal critico sembra all’inizio avere la meglio sull’irruenza
della sua creatura. Romano si impegna, cerca una docilità
che non possiede, ma la forza dei suoi sogni è destinata
a travolgere la meditata utopia pedagogica del maestro.
Il pretesto per sganciarsi da quella pesante tutela glielo
offre, nel 1923, l’invito del governo a documentare,
con una campagna di disegni, la spedizione militare italiana
in Libia al seguito del maresciallo Graziani. I mesi trascorsi
nel deserto lasciano nel suo animo un segno indelebile.
La qualità del lavoro scaturito da quell’esperienza
è straordinaria, ma non sempre in linea con le indicazioni
di Ojetti. Il rapporto tra i due sta chiaramente volgendo
all’epilogo: una rottura amara vissuta dal critico
con risentimento.
L’artista ritorna ai motivi peculiari della sua ispirazione:
la resa del movimento, il non finito, l’idealizzazione
delle forme. Una linea destinata in Italia a subire una
pesante sconfitta. Trionfa invece l’indirizzo teorizzato
dal suo pigmalione di un tempo. A Romano, sempre più
isolato, resta la consolazione dell’entusiasmo che
gli ambienti americani in Italia riservano al vitalismo
(così “americano”, appunto) della sua
opera.
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